domenica, Dicembre 22, 2024

NY. La citta’ dei ponti, simbolo di unione e lungimiranza

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La città dei ponti
Simbolo di unione e lungimiranza

Rossana Del Zio

C’era una volta, no, c’è ancora, il luogo più iconico del mondo: New York.
Ma c’era una volta, esattamente cinquecento anni fa, un navigatore italiano che sulla nave Dauphine osservava la terra dal suo scricchiolante ponte. Giovanni da Verrazzano, il primo italiano ad arrivare nella baia di new York. Oggi, sopra quel piccolo stretto denominato Narrows tra Brooklyn e Staten Island, un moderno e imponente ponte porta il suo nome e che in assoluto è il primo simbolo davanti agli occhi di chi arriva a New York via mare, ancor prima di scontrarsi con l’emozionante figura di Lady Liberty.
Nella baia di New York sono racchiusi i cinque distretti della città madre e matrigna di milioni di immigrati arrivati nel corso dei secoli e di miliardi di turisti che se ne innamorano perdutamente in una simulazione di possesso quasi maniacale. New York appartiene a ognuno che la ama profondamente per le emozioni che riesce a far provare e a ognuno che la odia per la durezza della sopravvivenza quotidiana che si perde nel corso di qualche secolo. Vere e provate emozioni, nel bene e nel male.

Nonostante tutto è la città simbolo della speranza e della lungimiranza in un connubio tra cuore e stomaco che coinvolge chi per una qualsiasi ragione ha contribuito, e continua a farlo, a lucidare la sua fama e a renderla eterna. E quell’eternità puoi provarla restando sospeso al centro di un ponte, quello di Brooklyn non a caso, e forse proprio in quel sublime momento ti domandi, voltando lo sguardo a 360 gradi, quanti ponti ci siano. Da quel punto forse ne potremmo contare circa tre, con la memoria sei, ma l’errore di valutazione è sorprendente. Solo Manhattan ne conta ventuno e nel totale dei distretti circa duemila, tra noti e meno noti, grandi e piccoli. Ognuno di loro ha una storia fatta di sacrifici, ferite profonde, grandi successi e disperate corse contro il tempo. Il più antico è ovviamente quello di Brooklyn, ed è evocativa la grande lastra commemorativa che racchiude in poche parole tutto il messaggio dedicato a chi crede nelle sue idee e a chi con il duro lavoro ha doverosamente fatto la sua parte affinché le idee si potessero concretizzare. E gli Italiani ci sono sempre stati con molte delle loro storie iniziate guardando l’oceano dal ponte di una nave e il simbolo del ponte acquisisce un significato profondo. Arrivati a New York più di un secolo fa hanno iniziato a lavorare anche nei cantieri di costruzione dei ponti. Le loro mani si sono invecchiate e ferite a causa delle condizioni terribili dei luoghi e delle intemperie, per erigere i ponti che attraversano l’isola collegandola agli altri distretti e al NJ, compresi i tunnel. Gente in cerca di una vita migliore che ha pagato a caro prezzo con sacrifici personali la grandezza della città. Di storie da raccontare ce ne sono tantissime, alcune probabilmente mai raccontate nascoste in fotografie dimenticate in qualche cassetto di eredi affettivi, che sarebbero capaci di dare un volto alle impronte lasciate da ciascuno di loro che ha lavorato durante la loro costruzione. Gli archivi parlano di giovanissimi uomini, agili e impavidi che senza nessuna paura hanno affrontato il duro lavoro a dispetto di tutto pur di non morire di fame o finire in chissà quale malsano giro. I racconti trascritti restituiscono tristemente il soprannome di cimiteri riferiti ad alcune costruzioni perché i loro sacrifici molto spesso si sono anche rivelati fatali. Senza di loro New York non sarebbe quella che è diventata, senza i suoi ponti che rappresentano non solo la sua identità, ma il vero e proprio slancio nell’unire territori che altrimenti sarebbero stati isolati, in primis la stessa isola di Manhattan, permettendo il suo sviluppo culturale ed economico.

Eppure il ponte con il legno scricchiolante rimarrà sempre il simbolo di chi ha sudato per costruirlo contornato oggi da lussuosi grattaceli che da soli non potrebbero raccontare la storia degli uomini che l’hanno amata e anche odiata, ma che nonostante tutto non hanno mai avuto il coraggio di abbandonare. Il navigatore Verrazzano non credo che immaginasse non solo che un ponte avrebbe portato il suo nome, ma che dopo alcuni secoli sarebbe diventato il simbolo di una città tra le più amate del mondo, ma anche degli uomini originari della sua stessa terra, l’Italia. Probabilmente lo avrà anche immaginato godendosi lo spettacolo della baia ignorando molte, molte cose che sarebbero accadute, non per ultima la particolarità dell’altezza delle navi moderne che non devono superare i 228 piedi nel punto più alto perché la base della carreggiata del ponte di Verrazzano è a 228 piedi sopra l’acqua. Un messaggio universale che parte dal presupposto che come lui ci è arrivato cinquecento anni fa, tutte le navi potrebbero attraversare quel piccolo stretto passando sotto il ponte per arrivare a New York.

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