La rivoluzione digitale ha cambiato il modo in cui comunichiamo, compreso quello della mafia. Nel vasto ecosistema digitale, i siti di social network sono i privilegiati vettori per l’interazione e la diffusione dei contenuti. Facebook, YouTube, Twitter, Instagram e TikTok hanno conquistato il web, computer e smartphone, creando una dimensione osmotica che si integra e spesso risponde a ciò che accade nella realta’. Le mafie si raccontano, seguono il virale, le tendenze, creano canzoni neo-melodiche.
La “mafia ai tempi dell’era digitale” e’ stato l’interessante tema affrontato, presso l’Istituto Italiano di Cultura di New York (diretto da Fabio Finotti), da esperti del settore.
Alla press conference, promossa dalla Fondazione Magna Grecia presieduta da Nino Foti, e aperta dai saluti del Console Fabrizio Di Michele, hanno partecipato: il giornalista-professore Antonio Nicaso; Anthony Tamburri, Dean del Calandra Institute; Arthur Gajasa, former US Court Judget of the US.
A moderare il giornalista Rai Fabrizio Frullani.
Lo studio (editato da Marcello Ravveduto) ha focalizzato l’attenzione sui contenuti digitali sinonimo di fonte. Tre i metodi di ricerca adottati per
estrarre e analizzare una grande quantità di dati dalle piattaforme: quello manuale per i social network (Facebook) applicato a più di 50 profili, pagine e gruppi e più di 30 profili Instagram. Successivamente la lente ha passato al setaccio gli argomenti grazie all’utilizzo dei codici Python che ha permesso di elaborare 20 mila commenti su YouTube.
Un lavoro immane che regala una fotografia non scontata di una mafia che si evolve, segue i tempi e si adegua. Non piu’ sangue, “fiumi di sangue”, ma professionisti dei social.